Il segreto di Heinz Bonn

L’hanno ucciso in un appartamento di Hannover con cinquanta coltellate. Ma nessuno ha mai scoperto il nome del colpevole. La fine di Heinz Bonn è piena di segreti come la sua vita. Nato nel 1947 a Siegen, in Nordrhein-Westfalen, non lontano da Colonia,“Bonni” fin da bambino ha un sogno: giocare in Bundesliga. È un difensore con ottima tecnica, sa impostare e diventa un punto fermo prima delle giovanili del Niederschelden/Gosenbach e poi dello Sportfreunde Siegen, il club principale della sua città. Quando i biancorossi retrocedono in Landesliga, Bonn, il cui modello è Berti Vogts, prova a fare il salto di qualità. Va a un provino del SV Wuppertaler, formazione che l’anno precedente è arrivata quinta in Regionalliga West, non lontano dalle posizioni che valevano la Bundesliga. Bonn porta i capelli alla moda e si presenta al Wuppertaler Stadion am Zoo con un scatolone, come unico bagaglio.

Ad accoglierlo c’è Horst Buhtz, tecnico ed ex giocatore del Torino di metà Anni Cinquanta. Insieme a lui ci sono il bomber Günter Pröpper ed Emil Meisen il “libero” della prima squadra. “Quanti anni hai, ragazzo?” gli chiede Buhtz. “22” gli risponde il ragazzo venuto da Singen. Lo fa allenare, poi a fine seduta gli batte sulla spalla e gli dice. “Se riesci ad andare da qui fino a quel posto senza far cadere la palla, ti facciamo un contratto”. Heinz prende la palla e la porta senza difficoltà fino a dove gli ha indicato l’allenatore. “Non avevo mai visto un difensore così tecnico, un genio del pallone” dirà Buhtz. Il Wuppertaler SV lo ingaggia insieme ad altri cinque giocatori. L’obiettivo dichiarato è la promozione in Bundesliga. Nelle successive due stagioni il club del Nordrhein-Westfalen la mancherà per poco, ma “Bonni” diventa uno dei difensori più interessanti della seconda divisione. Unisce la grinta alla tecnica. Per lui, 23 anni, inizia a crescere l’interesse delle “grandi” di Bundesliga. Schalke, Hertha, Colonia. Bonn sceglie l’Amburgo che lo acquista per 75mila marchi.

L’annuncio, dato dal tecnico Klaus-Dieter Ochs arriva ad aprile del 1970. La più scettica sul trasferimento rimane la mamma di Heinz, preoccupata dalla distanza tra Singen e Amburgo, ma soprattutto dell’impatto del figlio con la metropoli sul Mare del Nord.

Al HSV qualche dubbio c’è. A esprimerli (a posteriori) Charly Dörfel, leggenda ed esterno sinistro del club. “Bonn non era un fenomeno, era un giocatore di seconda divisione, ma perché la stampa fa così tanto rumore?” dirà anni dopo. Ad Amburgo per la prima volta Heinz sente la pressione. Ha paura. Ha paura di fallire, ma anche ha paura che qualcuno scopra il suo segreto. Heinz è omosessuale, ma nessuno lo sa. Nella Germania Ovest non ci sono calciatori apertamente gay, anche perché nel codice penale tedesco è ancora in vigore, seppur parzialmente, il paragrafo 175 che punisce i rapporti omosessuali. Per non destare sospetti “Bonni” dà di sé l’immagine di duro. Dichiara che l’unica cosa di cui ha paura è il dentista, si allena in maniera maniacale, fa pesi in palestra mentre gli altri si riposano e nella prima uscita stagionale contro i Glasgow Rangers Bonn mette fuori combattimento Willie Hen­derson, esterno della Nazionale scozzese. Sembra un duro, ma non è un fenomeno. In molti lo capiscono il 26 settembre 1970. Il HSV affronta in trasferta l’outsider Rot-Weiß Oberhausen. Il tecnico Ochs ha molti problemi di formazione con lo stesso Bonn che ha fastidi al menisco e i postumi di una commozione cerebrale. Alla richiesta dell’allenatore di giocare però risponde di sì. La partita è catastrofica. Hans Schumacher, il suo avversario, fa cinque gol. Alla fine è 8-1 per Rot-Weiß Oberhausen. Da lì inizierà la sua discesa. Con la maglia dell’Amburgo giocherà nei successivi tre anni solo 13 partite. In mezzo quattro operazioni e alcuni tentativi di rientro, l’ultimo nell’ottobre 1972 contro il Kaiserslautern. Dopo l’esperienza al HSV Bonn andrà all’Arminia Bielefeld, facendo ogni due settimane la spola con Amburgo. Per nostalgia di casa dirà. La vita di Heinz Bonn dopo il ritiro si inabisserà, con un sogno infranto (quello di aprire una macelleria), una pensione di invalidità sportiva e il trasferimento ad Hannover. Ad accompagnare i suoi Anni Ottanta la solitudine e l’alcol. Fino al 5 dicembre 1991, quando una donna chiama il commissariato di Hannover-Linden, dicendo di aver scoperto nell’appartamento vicino un cadavere. È quello di Heinz Bonn e probabilmente è lì da una settimana. L’assassino è un gigolò, ma nessuno saprà il suo nome. Come nessuno sapeva che Heinz Bonn era gay. Di lui si dimenticheranno in tanti. A ricordare la sua storia ora c’è l’Amburgo, che a “Bonni” e agli atleti omosessuali ha dedicato un’esposizione nel suo museo, aperta fino alla fine di gennaio 2022.

Schatzschneider, un bomber di (seconda) classe

Nel 2021 Simon Terodde ha due obiettivi: riportare l’Amburgo in Bundesliga dopo tre anni di purgatorio e superare quota 155 reti in 2.Bundesliga. Arrivarci per il 32enne di Bocholt nel Nordrhein-Westfalen autore ad ora di 134 reti, significherebbe diventare il miglior marcatore di ogni epoca della seconda divisione tedesca. Terodde, che ha vinto la classifica cannonieri della Zweite per tre volte e con tre squadre diverse, Bochum, Stoccarda e Colonia, supererebbe il primato di Dieter Schatzschneider, bandiera del Hannover tra Anni Sessanta e Settanta. E pensare che ai neroverdi, “Der Lange”, lo spilungone, nel 1978, a 20 anni, non ci sarebbe neppure dovuto arrivare. “L’Hannover giocava in seconda divisione e non aveva i soldi per comprare un attaccante – ha dichiarato nel 2014 in un’intervista al sito della Bundesliga – un giornalista chiamò il presidente e gli disse che al OSV Hannover c’era un ragazzo. Che non correva molto, ma che segnava tanto. Sono stato invitato per una prova. Penso che se avessero avuto un’alternativa avrebbe scelto un altro, ma non avevano soldi”.

L’acquisto è buono, anzi ottimo. Per una squadra che in pochi anni cambia spesso volto come l’Hannover, che nel ’78 aveva pure rischiato di non partecipare alla 2.Bundesliga a causa dei suoi problemi finanziari, Schatzschneider è ideale. Giovane, affamato, prolifico. In quattro anni e mezzo, sotto la guida di Diethelm Ferner va a segno 132 volte. Di piede e di testa. In compenso sfiora solo con la Bundesliga nel 1980 con un terzo posto nel girone Nord della seconda divisione. Nel novembre 1982 Ferner viene esonerato e lo sostituisce Gerd Bohnsack, che aveva mosso i primi passi in panchina al OSV Hannover, come l’attaccante. “Schatz”, come l’hanno ribattezzato i tifosi neroverdi (è un diminutivo che in tedesco vuol dire anche “tesoro”) nel mercato invernale va al Fortuna Colonia, la squadra in cui militava fino a qualche mese prima Karl-Heinz Mödrath, il secondo nella classifica cannonieri all time della seconda divisione con 151 marcature. Non è una questione tecnica, ma soprattutto economica, visto che come racconterà il centravanti anni dopo, il club aveva difficoltà a pagare gli stipendi. Nella città del Duomo sarà solo mezza stagione, ma molto intensa. I biancorossi, all’epoca in seconda divisione, mancano di cinque punti, il terzo posto valido per lo spareggio promozione ma arrivano fino in fondo in Coppa di Germania. L’attaccante ex Hannover, laureatosi a fine stagione capocannoniere della 2.Bundesliga, timbra in ogni partita di DFB-Pokal, con due doppiette contro Borussia Mönchengladbach e Borussia Dortmund. In finale però nell’unico derby mai giocato per contendersi la Coppa il Fortuna perde contro i cugini del Colonia 1-0.

Per Schatzschneider, nonostante la delusione c’è una grande occasione, stavolta in Bundesliga. Lo vuole l’Amburgo campione d’Europa per sostituire la leggenda Horst Hrubesch passato ai belgi dello Standard Liegi. L’esperienza dura un anno ed è un disastro. Non tanto sul piano tecnico (Dieter mette a segno comunque quindici reti) con un secondo posto in campionato, ma per tutto il resto. Il salto è grande e l’approccio non dei migliori. Le accuse che piovono sul neoacquisto sono quelle di essere un egoista e di essere poco disposto a sacrificarsi per la squadra, il cui gioco, disegnato dal genio austriaco Ernst Happel, punta molto sul pressing. In più Schatzschneider non è per nulla amato dalla “vecchia guardia”, a partire da Felix Magath e dal portiere Uli Stein. Il centravanti, a distanza di anni, gli darà ragione. L’unica soddisfazione arriva in estate, quando Erich Ribbeck, ct della Nazionale olimpica lo convoca per i Giochi di Los Angeles ’84, dove la Germania Ovest però esce ai quarti di finale contro la Jugoslavia.

La carriera di Schatzschneider imbocca a 26 anni il viale del tramonto. Due anni anonimi allo Schalke 04 e poi quasi più nulla. Tranne due brevi ritorni al Fortuna Colonia, dove completa il suo bottino in 2.Bundesliga e all’Hannover. A 31 anni, dopo una parentesi all’Augsburg, “Schatz” si ritira. Allenerà ma soprattutto lavorerà in varie vesti all’Hannover, anche e soprattutto grazie all’amicizia con il presidente Martin Kind. Come in campo pure fuori non passa inosservato. Parla dell’uso in Bundesliga del Captagon, un derivato dell’anfetamina e definisce nel 2015 il Bayern Monaco una “Piss-Mannschaft”. Per queste ultime parole un tribunale della Baviera lo condannerà a pagare 2mila euro di risarcimento. Riguardo alla possibilità che Terodde lo superi ha dichiarato di “non avere paura”. Come una volta non ne aveva in campo.

Amburgo, un Meisterschale “a chilometro zero”

Una notizia curiosa, che ha colpito i lettori nei giorni senza partite per il Coronavirus. Il TuS Haltern, squadra di Haltern am See, in Nordrhein-Westfalen, nel nord-ovest della Germania, ha annunciato che dalla prossima stagione tessererà solo atleti provenienti dalla sua zona, Il club di Regionalliga West, la quarta divisione, che ha dato i natali calcistici a giocatori come Christoph Metzelder, Sebastian Kehl e Benedikt Höwedes, vuole puntare a essere, parole della dirigenza, la “fabbrica di talento del calcio dilettantistico”. I bianconeri renani non sarebbero però la prima squadra “a chilometro zero” del Fußball. Sono molte nel presente e nel passato, le società che hanno “pescato” o cresciuto campioni nella loro regione, raccogliendo titoli e piazzamenti. Una però ha fatto la Storia. Siamo nel 1960 e la Bundesliga a girone unico non esiste ancora. Il titolo lo si assegna attraverso una fase finale, dove giocano le vincitrici e le meglio classificate dei tornei regionali. A dominare uno di questi l’Oberliga Nord è l’Amburgo. Il HSV, che gioca al vecchio Rothenbaum, ha lasciato indietro di quattro punti il Werder Brema, segnando quasi 100 gol in 36 partite, Trenta di queste reti le ha realizzate un 24enne, che è nato ad Amburgo ed è cresciuto nel quartiere di Eppendorf, dove suo padre Erwin, calciatore e lavoratore al porto, si è trasferito quando a inizio anni Trenta ha cambiato maglia, passando dal SC Lorbeer al Victoria Hamburg. Il ragazzo si chiama Uwe Seeler, ha ancora i capelli (biondi) e con lui gioca suo fratello maggiore, Dieter, anche lui giocatore offensivo, ma con caratteristiche differenti.

Uwe e Dieter Seeler

Di fianco ai Seeler, giocano il portiere Horst Schnoor, Uwe Reuter, Jürgen Werner, Klaus Stürmer. Gerhard Kruger, Gert Dörfel. A crescerli fin dalle categorie giovanili la coppia formata da Martin Wilke e da Günter Mahlmann, fratello minore del presidente Carl-Heinz, la mente della linea verde del HSV. In comune tra di loro hanno oltre al talento un’altra caratteristica: sono tutti nati nel raggio di non più di 30 chilometri tra Amburgo e lo Schleswig-Holstein, il Land che di fatto circonda la città anseatica. L’unico “straniero” è Klaus Neisner, che è nato a Berlino, ma però nel dopoguerra, a 11 anni, si è trasferito con la famiglia ad Amburgo. Questa squadra, che si conosce a memoria, arriva fino alla finale per il titolo. Uwe Seeler è il trascinatore anche nella seconda fase, con tanti gol, di cui uno eccezionale, segnato contro il Westfalia Herne. Una rovesciata, praticamente da terra, che si va a infilare nell’angolo alto della porta di Tilkowski, numero uno della Nazionale.

La finale è il programma il 25 giugno al “Waldstadion” di Francoforte. Avversario il favorito Colonia, che ha in campo un giovanissimo Karl-Heinz Schnellinger e due eroi del “miracolo di Berna”: Hans Schäfer e soprattutto Helmut Rahn. Davanti a 71mila spettatori, molti dei quali arrivano allo stadio insieme, a piedi e sotto un caldo pazzesco viene fuori una partita bellissima. Che si sblocca solo nella ripresa. Botta e risposta tra il Colonia (Breuer) e l’Amburgo al 53′, poi negli ultimi dieci minuti succede di tutto: HSV in vantaggio con Dörfel, pareggio dell’undici di Oswald Pfau, gol del 3-2 definitivo per gli anseatici di Uwe Seeler su un’uscita avventata del portiere Fritz Ewert. L’Amburgo è campione di Germania, trentadue anni dopo l’ultima volta. 20mila persone aspettano i vincitori alla stazione e 30mila allo stadio. Parte un corteo di auto, che dura ore. A fine anno Uwe Seeler sarà votato miglior giocatore tedesco dell’anno. Quello del 1960 rimarrà l’unico Meisterschale della sua carriera, vinto con una squadra “made in Hamburg”.

1944-1945, quando il Fußball si è fermato

La Bundesliga è ferma, causa coronavirus e il calcio tedesco, insieme a quello europeo, si interroga su quando si potrà tornare a giocare. Tra le varie ipotesi ventilate in queste settimane,  c’è quella di sospendere definitivamente il campionato (ad ora la più remota, almeno per la massima serie). In più di un secolo di Fußball è successo solo una volta che un torneo non fosse terminato. È capitato esattamente 75 anni, nel 1945. La Germania di Hitler, che nel 1939 aveva invaso la Polonia, dando avvio alla seconda guerra mondiale, è sull’orlo del precipizio. E lo sport, il calcio in particolare, ne risente.

Con l’inasprirsi del conflitto, in particolare con l’Invasione dell’Unione Sovietica, molti sportivi e diversi calciatori sono stati arruolati e mandati al fronte. La Nationalmannschaft ha giocato l’ultimo match nel novembre del ’42 a Bratislava contro la Slovacchia, non a caso, uno stato creato ad hoc dal Terzo Reich dopo lo smembramento della Cecoslovacchia. È la 100sima vittoria della Nazionale e il match in cui Paul Janes, ufficialmente arruolato in Marina, lui che non sa nuotare, ha festeggiato il record di presenze nella selezione tedesca (71), primato poi battuto nel 1970 da Uwe Seeler. Il campionato invece è andato avanti per due stagioni. Non era un campionato a girone unico, ma era articolato come dal ’33 tra Gauligen, i campionati regionali (che dal 1939 comprendevano anche le regioni occupate come l’Austria, l’Alsazia o i Sudeti) e una fase finale con le vincitrici dei singoli tornei. In entrambi i casi aveva trionfato il Dresdner SC, che aveva battuto in finale rispettivamente il Saarbrücken e il LSV Hamburg, club emanazione della Luftwaffe, l’aeronautica tedesca. Nel secondo successo, nell’ultimo atto, il 3-0 l’aveva firmato Helmut Schön, il futuro ct della Nazionale campione del mondo del ’74.

Pochi mesi dopo quella vittoria nella primavera del 1945, però la situazione, a livello ambientale, era decisamente cambiata. E non in meglio per il Terzo Reich. A est l’Armata Rossa premeva e gli Alleati compivano frequenti incursioni aree sul territorio tedesco. Giocare a calcio diventava un pericolo. Alcune Gauliga, per esempio quella della Prussia Orientale, la regione tra l’attuale Russia e Lituania all’epoca parte della Germania, non cominciarono neppure vista la pressione delle truppe sovietiche, altre invece iniziarono, per poi non finire. Al sud, nella Gauliga Bayern, non si giocarono tutte le partite con una squadra, il Luftwaffen SV Fürstenfeldbruck, che si era ritirata e i suoi giocatori erano stati arruolati nel marzo 1945. Un torneo incompleto in cui il Bayern Monaco, in testa alla classifica al momento dell’interruzione, era già di fatto irraggiungibile dalle inseguitrici, primi tra tutti i rivali cittadini del Monaco 1860. E proprio un Münchner Derby era stato il 22 aprile 1945, otto giorni prima del suicidio di Hitler e due settimane prima della resa tedesca, l’ultimo incontro ufficiale del calcio tedesco sotto il nazionalsocialismo. Vittoria in trasferta 3-2 per il Bayern, con la partita disputata non al Grünwalder Stadion, distrutto dalle bombe, ma sul terreno di gioco dei tranvieri, a Giesing. Tra i vincitori molti, come Hans Leibach, autore di una doppietta e di Franz Loogen, sono Gastspieler, “calciatori ospiti”, trasferiti lì per altre ragioni, soprattutto l’impiego in unità militari.

Franz Loogen/Foto DFB

La partita di Monaco è l’ultimo match ufficiale durante il nazionalsocialismo ma non l’ultimo in assoluto. Sì, perché a Nord, dove le truppe alleate arriveranno praticamente a inizio maggio si gioca ancora. Anzi, ad Amburgo, la Gauliga è terminata con poche (e ininfluenti) partite saltate. Il campione è l’Amburgo che il 29 aprile sfida l’Altona 93, secondo in classifica, in un’amichevole. Finisce 4-2 per l’HSV, Poco meno di una settimana dopo, la Germania si arrende. La fase finale non ha luogo. È l’unico caso in cui un campionato tedesco comincia ma non finisce per motivi extracalcistici. Il Fußball si rimetterà in moto, nelle zone occupate dagli Alleati occidentale, a novembre di quell’anno. Nove anni dopo, nel 1954, la Germania, allora dell’Ovest vince il suo primo Mondiale. In campo c’è anche uno dei protagonisti di quei giorni. È Franz Loogen. Non gioca, ma porta la valigetta del medico, visto che è il dottore ufficiale della Nationalmannschaft di Sepp Herberger e Fritz Walter.

Erwin Seeler, attaccante e papà

Visitando il Volksparkstadion di Amburgo, gli omaggi a Uwe Seeler si sprecano. Fuori dall’impianto una scultura ne celebra il piede destro, che tante gioie ha regalato ai tifosi al HSV, nel museo diversi cimeli appartengono al capitano dell’Amburgo e della Nazionale tedesca. Nel luogo che ripercorre la lunga e gloriosa storia del club, c’è posto per altri due Seeler. Per Dieter, il fratello maggiore di Uwe, più di 300 presenze e quasi 80 gol con il HSV tra il ’55 e il ’65 e per Erwin, il papà di Dieter e Uwe. Un ottimo attaccante, classe 1910, che era originario di Rothenburgsort, quartiere del distretto di Hamburg-Mitte, non lontano dal porto.

E proprio nella zona portuale Erwin, figlio di un oste, aveva cominciato a lavorare. Professione: manovratore di chiatte. Sveglia alle sei, tante ore di lavoro, ma il pomeriggio o la sera: Fussball. Fin dalla seconda metà degli Anni Venti Seeler è una stella del club locale, il SC Lorbeer 1906, il cui campo in Marckmannstraße si può vedere ancora adesso. I biancoblù non sono una squadra “normale”. Non fanno infatti capo alla DFB, la Federcalcio tedesca, ma sono affiliati all’Arbeiter-Turn- und Sportbund (ATSB), l’associazione ginnica e sportiva dei lavoratori, che nel 1928 era arrivata ad avere 2,2 milioni di iscritti. Tante discipline, tante squadre, un’idea di società basata su uguaglianza e partecipazione e una di sport, fondata sul più rigoroso dilettantismo. Il Lorbeer è una delle formazioni migliori di Germania. Nel 1929 gli amburghesi, che nelle loro fila hanno molti disoccupati del quartiere, figli della crisi della Repubblica di Weimar, arrivano a giocare la finale del campionato tedesco, che peraltro si gioca nella città anseatica, nello stadio del Victoria, davanti a 15000 persone. È una partita dalle mille emozioni con il Lorbeer, che trionfa per 5-4. Due anni dopo, nella stesso impianto, ma contro il SV Pegau, squadra di un quartiere di Lipsia, il club di Amburgo farà il bis. Vittoria per 4-2 e tripletta di Erwin Seeler. Per i giocatori nessun premio partita, anzi i protagonisti pagano di loro tasca il viaggio in camion verso la finale.

Nel 1931 l’attaccante del Lorbeer ha un’altra grande possibilità, quella di disputare con la Nazionale tedesca dell’ Arbeiter-Turn- und Sportbund, la seconda edizione delle “Olimpiadi dei Lavoratori”, in programma a Vienna. Nel torneo di calcio i tedeschi campioni in carica arrivano fino alla finale giocata al “Prater”. A trascinarceli Erwin Seeler, autore dei sette dei nove gol che ai quarti di finale sommergono l’Ungheria. L’attaccante amburghese non vincerà, ma sarà il capocannoniere del torneo. Un anno dopo quel trionfo, nel 1932, Erwin Seeler lascia il Lorbeer e il “calcio dei lavoratori”, passando ai “borghesi” del Victoria Hamburg. L’Hamburger Echo, quotidiano legato alla SPD, il Partito Socialdemocratico, lo etichetta come “traditore dei lavoratori”. Lui, che continua a spaccarsi la schiena al porto, decide pure di cambiare quartiere, per trasferirsi a Eppendorf, a due passi dal campo del Victoria, in un appartamento un po’ più confortevole, a qualche centinaio di metri da dove viveva Ernst Thälmann, capo dei comunisti tedeschi. In quella casa nascerà Uwe, la futura stella dell’Amburgo.

Al HSV Erwin ci arriverà nel 1938, dopo sei anni al Victoria. Lì lascerà il segno con più di duecento partite, con anche tra titoli della Germania del Nord e due della zona di occupazione britannica. Non vincerà mai più un campionato nazionale, né mai riceverà una convocazione in Nazionale. Nel 1951 appenderà le scarpette al chiodo, ma per vedere un Seeler con la maglia del HSV bisognerà attendere solo due anni, quando il giovane Uwe debutta in un’amichevole con il SC Göttingen 05. È il nuovo capitolo di una leggenda, cominciata a Rothenburgsort.